FILIPPO DE PISIS (Filippo Tibertelli)

(Ferrara, 11 maggio 1896 – Milano, 2 aprile 1956)

Fiori alla finestra

1938

olio su tela

76×63 cm 

OPERA

Questa tela del 1938 risale al soggiorno parigino dell’artista. Un vaso panciuto straripante di fiori campeggia sul davanzale di una finestra spalancata sui campi assolati e un cielo terso che occupa poco meno della metà dell’immagine. Se fin dal Quattrocento Leon Battista Alberti aveva definito la pittura come una “finestra aperta sul mondo”, qui de Pisis oltrepassa ogni limite di spazio smaterializzando ogni soggetto: mentre l’imposta di sinistra è appena accennata, quella a destra finisce per dissolversi. Senza giungere all’astrazione pura, ogni pretesa di verismo è accantonata.

Grazie alle sapienti pennellate “a zampa di mosca”, come le definì Eugenio Montale, i boccioli si espandono dal mazzo verso il cielo che pare richiamare a sé la materia floreale. Il reale soggetto dell’opera è la bellezza della Natura, con la sua forza vitale che non conosce ostacoli e vince ogni artificio umano con la sua solare superiorità.

BIOGRAFIA

Appassionato di entomologia e botanica fin dall’adolescenza, intendeva in cuor suo diventare uno scrittore. L’evoluzione stilistica dell’artista si coglie appieno nelle sue nature morte, in particolare in quelle dedicate ai mazzi di fiori recisi, che raccoglieva con passione, seccandoli e catalogandoli scientificamente in un erbario. 

Con la prima guerra mondiale, riformato per cause di salute, stringe amicizia con Giorgio de Chirico e suo fratello Alberto Savinio. Grazie a loro si orienta sulla pittura metafisica, corrente d’avanguardia che, rappresentando gli oggetti in maniera nitida e statica, mira a coglierne l’essenza oltre l’apparenza fisica, di là degli ingannevoli sensi. 

De Pisis si trasferisce quindi a Parigi, allora culla dei nuovi fermenti artistici, dove conosce Picasso ma anche Italo Svevo e James Joyce. Espone sia col gruppo metafisico sia col Novecento di Margherita Sarfatti.

Di nobili origini, Luigi Filippo Tibertelli usava il cognome decaduto de Pisis come firma. Accusato di essere solo un pittore decorativo, con le sue pose aristocratiche, il “marchesino pittore”, come lui stesso si definiva, sapeva piuttosto evocare ed esprimere, sfiorando appena la tela col pennello, l’intima vitalità delle cose.